

ma chi e` altan? un disegnatore satirico, un critico del costume, un intellettuale sotto mentite spoglie, un filosofo dell`attualita`? lo si puo` scoprire in questo libro, in cui i disegni sono scomparsi e rimangono solo le parole, le battute memorabili che molti di noi hanno citato piu` volte, che sono entrate a far parte di un modo di rispondere, per legittima difesa, alla nostra realta`. si va dal 1976 al 1995: un ventennio di malefatte politiche, ma non solo, cattive azioni sociali, mode dementi, farneticazioni a` la page riportate nel linguaggio di un`italia che parla reagendo alla stupidita` generale facendo coro o defezionando ironicamente.








esiste un momento nella vita di ognuno di noi dopo il quale niente sara` piu` come prima: quel momento e` adesso. arriva quando ci innamoriamo, come si innamorano lidia e pietro. sempre in cerca di emozioni forti lei, introverso e prigioniero del passato lui: si incontrano. rinunciando a ogni certezza, si fermano, anche se affidarsi alla vita ha gia` tradito entrambi, ma chissa`, forse proprio per questo, finalmente, adesso... e allora lidia che ne fara` della sua ansia di fuga? e di lorenzo, il suo "amoreterno", a cui la lega ancora qualcosa di ostinato? pietro come potra` accedere allo stupore, se non affrontera` un trauma che, anno dopo anno, si e` abituato a dimenticare? chiara gamberale stavolta raccoglie la scommessa piu` alta: raccontare l`innamoramento dall`interno. cercare parole per l`attrazione, per il sesso, per la battaglia continua tra le nostre ferite e le nostre speranze, fino a interrogarsi sul mistero a cui tutto questo ci chiama. grazie a una voce a tratti sognante e a tratti chirurgica, ci troviamo a tu per tu con gli slanci, le resistenze, gli errori di lidia e pietro e con i nostri, per poi calarci in quel punto "sotto le costole, all`altezza della pancia" dove e` possibile accada quello a cui tutti aspiriamo ma che tutti spaventa: cambiare. mentre attorno ai due protagonisti una giostra di personaggi tragicomici mette in scena l`affanno di chi invece, anziche` fermarsi, continua a rincorrere gli altri per fuggire da se stesso...




maya burkett e` appena rientrata a casa dal funerale del marito, joe, il grande amore della sua vita, brutalmente ucciso a central park pochi giorni prima. e in quel momento che la sua migliore amica le regala un portafoto digitale, un oggetto in apparenza tanto innocuo quanto inutile, che in realta` contiene una telecamera nascosta. secondo maya e` una precauzione eccessiva. in fondo non ha motivo di dubitare della babysitter, isabella, legatissima alla piccola lily. o forse si`? passano poche ore quando, mentre controlla la registrazione del giorno precedente, maya vede la sua splendida bambina di due anni giocare tranquilla e sorride, subito rassicurata. ma all`improvviso un uomo entra nell`inquadratura. maya non fa nemmeno in tempo a rendersi conto di cosa sta succedendo quando l`uomo si volta, davanti alla telecamera. e il cuore di maya si ferma. si`, perche` lei conosce benissimo quel viso e sa che e` semplicemente impossibile che quell`uomo sia li`, visto che e` suo marito. maya, ex pilota delle operazioni speciali in iraq, in guerra ha visto di tutto, eppure ora non riesce a credere ai propri occhi. ma la domanda e`: dovrebbe crederci? la risposta e` sepolta negli inganni e nei segreti del suo passato, e soltanto facendo i conti con quelli potra` scoprire una verita` inconcepibile su suo marito, e su se` stessa.


sulle questioni poetiche george orwell aveva le idee chiare. prediligeva thomas hardy e rupert brooke; al t.s. eliot dei "quattro quartetti", un vate troppo pomposo, anteponeva quello delle rime giovanili; detestava, con gioviale cinismo, wystan h. auden ("e` un kipling senza fegato") e stephen spender. d`altronde, in uno scritto del 1946, "why i write", orwell confessava di avere esordito come poeta: "scrissi la prima poesia all`eta` di quattro o cinque anni, dettandola a mia madre" era un plagio di william blake. da ragazzo, lo affascinarono le ballate di robin hood e il "paradiso perduto" di milton. tutti i grandi scrittori del novecento, in effetti, pensiamo a james joyce, a william faulkner, a ernest hemingway, sono poeti messi all`angolo, lirici mancati per un attimo. orwell pratico` la poesia con talento anomalo, sporadicamente, per tutta la vita: il suo modello e` un jonathan swift vissuto nell`era atomica. spesso i versi hanno un`arguzia dolente, da aspide ("sono il verme che mai divenne / farfalla, l`eunuco senza harem / [...] non ero nato per un`eta` come questa"). nell`oggi profetizzato da orwell, dove la scrittura esiste per annacquare gli spiriti, per celebrare, magari con provocazioni ad hoc, lo status quo, la poesia e` la sola arma per abbattere il grande fratello.