
edith piaf, per il pubblico francese, e in genere per quello europeo, e` piu` di una grande cantante: e` l`incarnazione del momento in cui nella cultura moderna le canzoni e la vita si sono saldate e una donna qualsiasi come lei ha avuto la possibilita`, grazie alla sua voce e alle sue intransigenti scelte di vita, di diventare un simbolo per diverse generazioni. questa e` la storia di edith, dalla miseria di belleville alla gloria della carnegie hall a new york. una diva che aveva bisogno del palcoscenico ma che viveva per l`amore e alle cui vicende si e` appassionata morbosamente una nazione.


l`8 febbraio del 1972, i van der graaf generator sbarcavano in italia iniziando la loro prima tourne`e nel nostro paese con un doppio concerto al teatro massimo di milano. nonostante la band avesse alle spalle gia` quattro album e una lunga serie di concerti in inghilterra, olanda, svizzera e germania (compreso il celebre six bob tour insieme a genesis e lindisfarne) il loro seguito in europa era decisamente modesto. la sorpresa fu grande quando, gia` all`arrivo all`aeroporto, il gruppo fu accolto da decine di fan inneggianti alla loro musica, che accompagnarono i musicisti lungo il percorso verso il teatro, dove la polizia faticava a tenere a bada la folla che spingeva per entrare. il rapporto tra i van der graaf generator, gruppo di punta del movimento rock progressivo inglese, e il nostro paese e` sempre stato speciale, anche se movimentato e non privo di imprevisti: dalle tortuose tourne`e del 1972 (ben tre in pochi mesi per un totale di 43 date, compreso il leggendario festival pop di villa pamphilii a roma), ai trionfali concerti del 1975 culminati con il furto di tutta la strumentazione subito nella capitale, fino alla inaspettata reunion del 2005. in mezzo, le collaborazioni e i concerti del leader del gruppo, peter hammill, e dei suoi compagni, con artisti italiani come le orme, alan sorrenti, pfm. "van der graaf generator. la biografia italiana" racconta per la prima volta in italia quarant`anni di storia del generatore...


Arcana, 1988, IT. Il libro ufficiale del film e del disco "Rattle And Hum" con 150 foto tratte dal The Joshua Tree Tour e testi di Steve Turner e Peter Williams.

la notte del 10 gennaio 2016 la stella del rock registrata all?anagrafe come david jones e nota al mondo come david bowie ha concluso la sua orbita terrena e la sua luce ha repentinamente smesso di brillare, con uno di quei coup de theatre di cui e sempre stato maestro indiscusso. nulla era trapelato della sua battaglia - ormai evidentemente perduta - con il cancro, che lo aveva assalito nell?estate del 2014. "blackstar", suo 28? album di studio uscito due giorni prima della scomparsa, ha immediatamente assunto una luce diversa, si e rivelato per quello che in definitiva e: un testamento, l?ultimo atto di un uomo (prima ancora che un artista) che sta lottando disperatamente con la malattia ma sa di aver gia perso la battaglia. bowie e stato - e, e restera - uno dei grandi padri di quella che taluni chiamano musica rock, e altri preferiscono definire piu ecumenicamente pop. in cinquant?anni di carriera ha attraversato (quasi) tutti i generi e alcuni ha contribuito a crearli. musica potente, contrassegnata da testi talora misteriosi e di ardua decifrabilita. del resto, lui e sempre stato un maestro nel mandarti fuori strada, disseminando nei suoi testi molteplici riferimenti e facendo ampio uso della tecnica del "cut-up" di ispirazione burroughsiana. esiste pero una continuita di fondo nell?opera di bowie e, come egli stesso ha ammesso, "in fondo alla fine ricorrono sempre gli stessi temi, che poi sono i miei interessi". non puo che essere questo, pertanto, il punto di partenza per "decodificare" le liriche di un artista che ha saputo dare una brillante forma artistica ed estetica alle proprie ansie e ai propri travagli esistenziali. questi, a sua volta, erano i medesimi conflitti vissuti dai suoi fan; e bowie, in tutti questi anni, non ha mai smesso - e non smettera mai, nemmeno dopo la morte - di offrir loro quel conforto riassumibile nel metaforico abbraccio con cui concludeva i concerti degli anni settanta: "you?re not alone!".