in ebraico papa` si dice aba; dunque, nemmeno a farlo apposta, la prima voce e` papa`; e da qui in poi ogni voce e` un appiglio, una lente, uno specchio della storia di bruno. tra zii fuggiti in inghilterra e in america durante la catastrofe, calzini spaiati, piaceri e dispiaceri della carne, cammina bruno, senza bussola nel mondo finche` non scopre che la lingua parlata da sua madre, e spacciata per italiano corrente, e` in realta` mammese, o tampo`nico. sua madre parla una lingua che non descrive la realta` come appare, ma come apparirebbe se non facesse paura, se non mettesse in imbarazzo, se non suscitasse emozioni: "mi raccomando" vuol dire "e questione di vita o di morte"; "ti voglio bene" si dice "complimenti". cominciare a tradurre dal mammese salva la vita a bruno e gli insegna l`arte della differenza, la difficolta` di comunicarla; l`arte di adattare e di adattarsi. si trasforma cosi` in un traduttore alfiere: indomito, sempre in servizio. alle prese con paure improvvise ma dotato anche di risorse segrete: per esempio una mano morbida e asciutta che a volte lo protegge quando vede le cose brutte davanti a se`. e la mano che suo padre gli metteva sugli occhi e sulla fronte quando, facendo spese il sabato mattina, il macellaio alzava la mannaia.