
una clinica svizzera, una localita` amena, le cure asettiche di un personale altamente specializzato; qui il protagonista inizia una terapia che non riesce a sottrarlo a un`intensa curiosita` per gli altri e a un insopprimibile desiderio di vivere. l`attrazione per alcune pazienti, le discussioni con i medici, l`autoanalisi instancabile, il ricordo sempre vivo e spesso lancinante di un passato mondano nel segno di un frenetico e quasi disperato attivismo: le bianche pareti di una clinica della confederazione stentano a contenere tutte queste pulsioni. e cosi`, alla fine, il protagonista riaffermera` con forza se stesso, la sua passione-malattia di vivere.

nel 1917, quando usciva questo racconto della scrittrice, giornalista e attivista dei diritti civili susan glaspell (1876-1948, premio pulitzer per il teatro nel 1931), le giurie americane erano composte di soli uomini, per cui le due contrapposizioni che propone questo poliziesco diventano allegorie di una ingiustizia: un delitto viene commesso e, parallela all`indagine stoltamente guidata dallo sceriffo con un testimone, si svolge quella condotta dalle due mogli, che svelano il colpevole grazie alla loro capacita` di leggere particolari solitamente invisibili ai maschi, ma non lo denunciano, assumendosi anche il compito di giudici, di una giustizia dell`empatia e dell`attenzione, opposta a quella maschile del diritto formalistico.

