
"la giornata di luigi xiv, nella sua regolarita`, e` stata descritta numerose volte - avverte l`autrice nella premessa - da primi visconti, da dangeau, da sourches, da spanheim, da saint-simon. tuttavia, questi testimoni si rivolgevano ai contemporanei e omettevano quindi di parlare di cio` che era noto a tutti ma che noi ignoriamo". inoltre l`iconografia, i quadri e i ritratti, "con la scusa di celebrare un avvenimento speciale" spesso finivano col non rappresentare la semplice quotidianita` del sovrano. insomma, cio` che manca sono spesso i dettagli, troppo ovvi per essere riportati. ma sono appunto questi dettagli - il significato perduto di un gesto, l`uso di un oggetto dimenticato, la sensazione diversa del tempo e dello spazio, un modo di rivolgersi all`aiutante o al subordinato, la smorfia o il profilo di famiglia di un viso, un`ambizione oggi inspiegabile, un onore o uno sgarbo, le modalita` di un`attesa, il fantasma del passato in un`esistenza, presenze e assenze avvertite - a dare la continuita` vissuta, la vivacita` del quotidiano. l`autrice li rintraccia, tramite cio` che ha definito una "caccia" e un gioco, e li usa come il filo per ricucire in un`unica trama di momento in momento le scene e i dialoghi desunti da tutte le cronache, le piu` note e le piu` segrete.

il libro e` nato da un`esperienza diretta di ben jelloun che, approdato a parigi negli anni `70, lavorava come psicologo in un centro di medicina psicosomatica. per un periodo di tre anni ha osservato e ascoltato piu` di un centinaio di pazienti nordafricani che venivano al consultorio per turbe affettive o sessuali. questa esperienza si e` condensata nel monologo di uomo che riassume nelle sue parole tutta la sofferenza e il disagio dello sradicamento e dell`incontro-scontro con una realta` nuova e incomprensibile. la voce narrante di ben jelloun e` quella di "un essere invaso dai sogni, che sopravvive grazie alla capacita` di inventarsi una vita anche se fatta di chimere e di nostalgia".



una traduzione, con testo a fronte, della "cronaca drammatica" che inauguro` la stagione "epica" del teatro brechtiano. una sofferta meditazione sul tragico fallimento di una vivandiera, povera diavola che s`illude di trarre profitto dalla guerra dei trent`anni. con un`introduzione di luigi forte.











da sempre gli uomini sognano di liberarsi dal flagello della guerra, anche se e` impossibile negare che, ai crocevia della storia, la strada del progresso umano sia spesso passata per i conflitti militari. la borghesia francese, ad esempio, dovette difendere le conquiste della sua rivoluzione dagli assalti della reazione europea in una serie di guerre rivoluzionarie. l`esercito rivoluzionario francese, sconfiggendo i prussiani a valmy, apri` una breccia decisiva nel muro eretto dalle vecchie classi feudali sulla strada della storia. i comunisti non sono pacifisti. essi valutano le guerre per il ruolo concreto che hanno svolto - o svolgono - nel lunghissimo e accidentato cammino che l`umanita` ha percorso, e che deve condurla fuori dalla originaria condizione animale di provenienza.



nel marzo del 1929 il ventiquattrenne christopher isherwood lascia l`inghilterra per berlino, dove intende raggiungere l`amico w.h. auden ma soprattutto "scatenare i suoi desideri e sbattere ragione e buonsenso in prigione". nonostante l`ascesa del partito nazista, che finira` per toccarlo anche negli affetti piu` cari, la citta` gli appare un "misterioso tempio dell`iniziazione", e l`atmosfera libertina che vi regna lo risarcisce della plumbea ipocrisia sofferta in patria. per isherwood e` insomma un colpo di fulmine. torna a berlino durante l`estate, poi di nuovo in novembre, e stavolta senza un biglietto di ritorno, convinto com`e` di aver trovato "il crogiolo ribollente della storia nel suo divenire". ci rimarra` dieci anni, che si riveleranno fondamentali per la sua formazione e forniranno spunti, personaggi e ambientazioni ai suoi romanzi piu` famosi. "io sono una macchina fotografica con l`obiettivo aperto, completamente passiva, che registra e non pensa ... un giorno tutto questo andra` sviluppato, stampato con cura, fissato" si legge nell`incipit di "addio a berlino". solo nel 1976, tuttavia, l`impegno verra` onorato: grazie a questo libro, dove, dismessa la prudente maschera della fiction, isherwood punta finalmente la macchina fotografica su di se`, senza alcun filtro, regalandoci un toccante autoritratto.