"da principio scelto come segno di miseria e solitudine, il cane mi pare disegnato adesso come spettro armonico, la linea della schiena che risponde alla linea delle zampe, spettro che sa essere l`esaltazione suprema della solitudine": cosi` alberto giacometti diceva a jean genet, visitatore del suo atelier, nei primi anni cinquanta. e l`oscillazione tra solitudine, miseria e armonia, tra luce, stella, tremore e senso d`abbandono, e` forse davvero la cifra del nuovo libro di stefano raimondi, secondo tassello della sua trilogia dell`abbandono. esplorare l`abbandono, il senso d`abbandono, dentro le parole e dentro l`orizzonte urbano (due dimensioni che in raimondi da sempre si intrecciano, gia` a partire dal libro giovanile la citta` dell`orto, del 2002), ricercarne le costellazioni di immagini, le risonanze interiori, la voragine di un tombino che si spalanca e il viaggio che tuttavia si apre, in una luce incerta: ecco l`orizzonte di quest`opera, che abbandona, e forse supera, il parallelismo ustionante tra vicenda affettiva e devastazione bellica, cosi` forte nel primo tempo della trilogia, per restare fedeli (2013). perche` adesso "guardare da qui commuove e parlare non e` piu` parlare. il vero ci porta via." (fabio pusterla) |