"aurore d`autunno" - tra le piu` alte espressioni poetiche del novecento - e` un libro semplice: giunto alla soglia dei settant`anni, stevens medita in pentametri giambici sulla propria vita, sulla poesia e, di fronte allo spettacolo incandescente della natura, accusa il fallimento dell`immaginazione. "le aurore d`autunno" scrive nel novembre 1950 al suo agente letterario parigino "sono le notti di primo autunno, che a volte a hartford hanno lo stesso riverbero dell`aurora boreale". e la loro "effulgescenza artica" impone un nuovo registro linguistico: abbandonato il tono sublime, il vecchio poeta lascia che affiorino parole semplici, piane. e una vera e propria svolta mistica, che ci rivela uno stevens insolito, fortemente antiapocalittico, incline piuttosto all`immanenza, a un appassionato rapporto con la terra: l`uomo e` colto nel suo habitat naturale che e` fatto di tempo atmosferico, e se alza gli occhi al cielo non vi vede nessun dio, nessuna traccia. piuttosto, nel riverbero della luce boreale, le cose appaiono di una solitudine cosmica, e lo sguardo si abitua a un`assenza di rivelazione. e qui il punto di svolta antiromantica, antimetafisica delle aurore. l`autunno non e` la stagione keatsiana della bellezza e della ricchezza dolce e matura: verso la fine della vita, la realta` appare piu` povera di desiderio, piu` priva di speranza - e percio` piu` vera. in questo senso stevens e`, piu` di eliot e di pound, il poeta dell`epoca moderna. |