PROSSIME USCITE

al lavoro: schede, memorandum, presentazioni. a scuola: temi, tesine, relazioni. nel privato: post su facebook, email personali, chat sul cellulare. sara` anche l`epoca degli audiovisivi e della comunicazione in tempo reale, ma non abbiamo mai scritto tanto. e piu` dobbiamo scrivere, meno sembriamo capaci di farlo. ma, mette subito in chiaro claudio giunta all`inizio del libro, . e quindi? non potendo insegnare come si scrive, claudio giunta prova a spiegarci come non si scrive, passando in rassegna gli errori, i tic, i vezzi, le trombonerie e le scemenze che si trovano nei testi che ogni giorno ci passano sotto gli occhi: dall`antilingua delle circolari ministeriali alle frasi fatte dei giornalisti, dal gergo esoterico degli accademici e dei politici al giovanilismo cretino della pubblicita`... ma in questo slalom tra sciatterie e castronerie giunta trova per fortuna il modo di contraddire la sua dichiarazione iniziale, perche` insegnare "come non scrivere" significa anche dare delle utili indicazioni su come si scrive: per ogni cattivo esempio se ne puo` trovare uno buono da opporgli, per ogni vicolo cieco argomentativo c`e` una via di fuga creativa, e spesso basta un punto e virgola per risolvere una frase ingarbugliata. in questo anti-manuale spregiudicato, arguto e divertente, nella tradizione di "come si fa una tesi di laurea" di umberto eco ma aggiornato all`era di google, scopriamo che per scrivere bene bisogna ripartire da un po` di affetto per la nostra bistrattata lingua italiana, ma soprattutto bisogna tenere a mente poche regole di buon senso: se scriviamo lo facciamo perche` qualcuno ci legga, capisca quel ch

in "mio figlio professore", anno 1946, il bidello aldo fabrizi, diventato padre, annuncia che da grande il figlio fara` "er professore de latino". ben pochi genitori, oggi, direbbero una cosa del genere. il libro parte da questa constatazione per riflettere sul futuro dell`istruzione umanistica. lo fa avanzando alcune proposte sul modo in cui questa istruzione si potrebbe riformare, a scuola e all`universita`; e interrogandosi su alcune questioni cruciali: se il canone umanistico che ha formato le generazioni passate ha ancora un senso e un`utilita`; se e` possibile comunicarlo non a un`e`lite di studenti ma a una massa; e se insomma la trasmissione di quel sapere corrisponde davvero alla "buona battaglia" che molti insegnanti ritengono di combattere, o se invece e` tutta un`illusione, una favola che ci raccontiamo per non dover ammettere che le cose che una volta credevamo vere e importanti non lo sono piu`.

il modello di formazione che ha ispirato le generazioni passate si fondava sul valore del sapere disinteressato, sull`amore per la propria tradizione culturale e sul desiderio di conoscerla e trasmetterla ai posteri, sulla fiducia nel potere educativo dell`arte e della scienza, sulla fiducia cioe` che un autentico progresso umano dovesse passare da questo genere di esperienza intellettuale. tutto cio` sembra oggi volar via, solo che i valori considerati stantii non cedono il posto ad altri valori, ma a un vortice di idee e concetti nuovi che invecchiano prima di potersi fissare. le ragioni di questa rivoluzione sono, in sostanza, due. la prima e` che la soglia d`accesso alla cultura si e` d`un tratto abbassata: a dover essere istruita non e` piu` una ristretta e`lite di privilegiati, ma l`intera popolazione. la seconda e` che i mass-media hanno ormai preso il posto delle agenzie educative tradizionali (famiglia, scuola, chiesa), e oggi sono loro a decidere i tempi e i modi dell`agenda culturale secondo le leggi del mercato.