esistono innumerevoli parole ed espressioni che fanno parte del nostro linguaggio quotidiano e che spesso, erroneamente, consideriamo una recentissima acquisizione dalla lingua inglese. quando ci sediamo davanti a un monitor, magari per seguire le lezioni di un tutor o per aggiornarci sull`andamento dell`ultimo summit internazionale attraverso i mass-media, ci sentiamo all`avanguardia e fieri di avere grande dimestichezza con il mondo anglosassone, dimenticando che dobbiamo tanta "modernita`" al latino che parlavano i nostri avi. nell`insolita veste di cultore di una lingua con la quale ha avuto l`opportunita` di confrontarsi fin da giovanissimo, vittorio feltri risale alle origini di vocaboli e locuzioni di uso comune, illustrandone la genesi e il significato talvolta travisato nel corso del tempo. molti resteranno forse delusi scoprendo che il celeberrimo alea iacta est - "il dado e` tratto" attribuito a cesare e da sempre usato per sottolineare con fare solenne l`irrevocabilita` di una decisione presa - potrebbe essere frutto di un`errata trascrizione da svetonio, e che la frase corretta (alea iacta esto, "si lanci il dado") era probabilmente un imperioso invito a gettare il cuore oltre l`ostacolo, in questo caso il rubicone. ma nelle belle pagine di feltri, non certo un noioso compendio di letteratura latina, trovano posto anche gli inevitabili e pungenti accenni all`oggi, sia con poco edificanti esempi di quanto siano attuali il do ut des e l`homo homini lupus, sia, per nostra fortuna, con le storie di personaggi che dimostrano il valore del detto per aspera ad astra. al di la` del tono ironico che sempre contraddistingue feltri, il latino lingua immortale e` in fondo un`appassionata dichiarazione d`amore per una lingua che, ben lungi dall`essere morta, dimostra ogni giorno, e lo fara` ancora a lungo, la forza delle sue radici.
con le parole si puo` giocare, ma non si scherza. sono roba seria. infatti, uno dei primi segni di un potere totalitario e liberticida e` proprio il controllo del linguaggio. l`imposizione della censura di alcuni termini non e` pratica che riguarda il passato, anzi, e` piu` attuale che mai. piu` andiamo avanti e piu` regrediamo in questo ambito. piu` diventiamo moralistici, smarrendo tuttavia morale ed etica, piu` ci concentriamo sull`uso di determinati vocaboli, facendone una malattia. cosi` si e` data vita alla battaglia piu` stupida, vana, insulsa e folle della nostra storia: quella al dizionario. oggi non si puo` piu` dire "negro" al negro ne` si puo` piu` dire "zingaro", "rom" o "nomade". non si puo` dire che uno e` "cieco", semmai e` un "non vedente". non si puo` dire "sordo", al massimo "audioleso". non si puo` dire "spazzino", ma solo "operatore ecologico". non si puo` dire "bidella", ma solamente "operatrice scolastica". non si puo` dare del terrone al terrone mentre e` corretto dare del polentone a un polentone. e guai a dire "frocio" o "finocchio", a meno che tu stesso non sia omosessuale, in tal caso diventa lecito. per non parlare della repulsione diffusa nei confronti dei sostantivi maschili. se aggiungi l`astina alla vocale "o", se declini tutto al femminile, allora sei una bella persona, altrimenti vieni etichettato quale maschilista tossico e pure farabutto. il politicamente corretto applicato al linguaggio secondo feltri e` il male del secolo, ed e` giunto il momento di dire basta, di tornare a parlare come mangiamo.
in oltre sessant`anni da cronista, vittorio feltri si e` imbattuto in molte personalita` celebri e importanti. e inevitabile quando il tuo mestiere e` rendere pubblici gli affari altrui. scrive
molto si sa del vittorio feltri giornalista e della lunga e fortunata carriera che lo ha visto passare da un piccolo giornale di provincia al
chi l`avrebbe mai detto, alla fine degli anni cinquanta, che quell`adolescente taciturno e magro come un chiodo, abituato a rintanarsi in biblioteca dopo aver sgobbato tutto il giorno per dare una mano alla famiglia, sarebbe diventato firma di punta dei piu` prestigiosi quotidiani nazionali, arrivando persino a dirigerne alcuni? probabilmente nessuno, e forse nemmeno lui, che pure non ha mai smesso di inseguire con passione, tenacia e un pizzico d`incoscienza il sogno di entrare nel mondo della carta stampata, un mondo che fin da piccolo, quando riusciva a malapena a compitare qualche parola, lo aveva incuriosito. dagli esordi, giovanissimo, all`
tutti traditori, tutti ladri, noi italiani? a scorrere le graduatorie mondiali sulla
"dobbiamo avere piu` paura di quella che abbiamo. una paura cosi` grande da trasformarsi nel coraggio di uccidere per non morire." in questo acuminato pamphlet di vittorio feltri la paura diventa, paradossalmente, la madre del coraggio. il coraggio di riconoscere un nemico in tutta la sua pericolosita` e, quindi, di affrontarlo. oggi il nemico e` quella parte del mondo musulmano che, con nomi diversi (al-qaeda, isis, stato islamico, califfato), si e` organizzata militarmente e statualmente per conquistare l`occidente, e che, con l`attentato terroristico alla sede della rivista satirica parigina "charlie hebdo", ha colpito la democrazia occidentale in uno dei suoi princi`pi cardine: la liberta` di espressione. rendendo sempre piu` evidente quel mortale scontro di civilta` di cui oriana fallaci, come una moderna cassandra, si fece premonitrice inascoltata nei suoi ultimi scritti. dobbiamo avere piu` paura, ci ammonisce feltri, perche` questi terroristi non sono membri di cellule impazzite, bensi` guerrieri di un esercito il cui cemento e` l`odio per l`occidente e l`assoluta intolleranza religiosa verso chiunque si discosti dall`islam e dalla "sharia", la legge che regola anche i costumi quotidiani e i rapporti familiari e interpersonali, calpestando la dignita` delle donne con la totale sottomissione al potere maschile e indottrinando i figli a una pratica religiosa che, con la sua barbarie, travalica i limiti del piu` elementare concetto di umanita`...