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in questo libro jacques-alain miller fa da guida al lettore che si accosta all`ultimo insegnamento di lacan. sicuramente il piu` arduo. il libro xxiii del seminario di lacan, intitolato "le sinthome" - antica grafia del termine sintomo - e infatti, come tutti gli ultimi seminari, completamente diverso dai precedenti. perche`? almeno per due motivi. primo: perche` lacan nell`ultimo periodo del suo insegnamento capovolge letteralmente la sua impostazione teorica sull`inconscio. mentre prima l`accento era posto sull`assioma che l`inconscio e` strutturato come un linguaggio, ora lacan mette l`accento sulla disgiunzione tra il senso e il reale, tra la verita` e il godimento. l`accento non e` quindi posto sul sistema significante, sul grande altro, sul linguaggio, ma sul godimento, che e` quel reale che si presenta clinicamente come impossibile da sopportare e logicamente come senza senso. addirittura il significante stesso non serve piu` alla comunicazione o al senso, ma si rivela essere al servizio del godimento, come prova l`opera di joyce, soprattutto "finnegans wake". inoltre questo seminario presenta in modo del tutto diverso la triade che aveva guidato lacan fin dagli inizi del suo insegnamento l`immaginario, il simbolico e il reale - e con cui aveva riorganizzato la teoria e l`esperienza della psicoanalisi.

"si puo` leggere di primo acchito, senza pause, o comunque indifferenti alle interruzioni; poiche` da qualsiasi punto si ricominci la lettura, e` come riprendere la storia da un punto fermo, senza nessi da ricordare con quanto precede. ogni pagina e` un inizio: per l`episodio che segue, per il personaggio che viene introdotto, per la situazione in cui alice si trova. [...] l`invito al lettore e` di seguire alice nel suo viaggio fantasioso cosi` come le piccole liddell l`hanno seguito in barca, lungo il tamigi, il 4 luglio del 1865. rinunciare a cercare troppo astrusi significati ha un grande effetto liberatorio; alla luce di quello che ancora una volta il saggio re di quadri sentenzia nell`ultimo capitolo: `se non c`e` nessun significato... questo, sapete, ci risparmia un mondo di guai, perche` non abbiamo piu` bisogno di cercarne uno`." (dalla prefazione di luigi lunari)

oltre a "il furto dell`elefante bianco", breve caricatura del romanzo poliziesco, il volume contiene "alcune osservazioni sconclusionate su una gita di piacere", schizzo su un viaggio alle bermuda e soprattutto "la grande rivoluzione di pitcairn", in cui mark twain narra come, in un`isola sperduta nel pacifico, vivevano in modo idilliaco 90 persone, fino a quando non arriva un americano di buone intenzioni che vuole introdurre i principi della democrazia americana, con il disastro che ne consegue.

nonostante abbia avuto mentori autorevoli - da pannunzio a montale, da pasolini a garboli - antonio delfini resta autore appartato e inafferrabile. l`eterno dilettante di talento, come scrive roberto barbolini nella sua introduzione, ha giocato a confondere vita e scrittura in un azzardo continuo, sino a fare della letteratura un surrogato dell`esistenza e a trasformare in racconto la propria tormentata biografia. l`opera che piu` compiutamente ne rappresenta estri e umori e` senz`altro "il ricordo della basca", raccolta pubblicata nel 1938 che qui si ripropone nell`edizione definitiva - preceduta da quel riconosciuto capolavoro che e` una storia e seguita dal frammento il 10 giugno 1918 - con il titolo i racconti con cui usci` da garzanti nel 1963. sul fondale incantato della sua modena, la modena degli anni trenta, reale e immaginaria al tempo stesso, l`autore proietta le sue stravaganze di dandy di provincia, l`amarezza degli amori solo vagheggiati, la rabbia peri sogni infranti. sono pagine che restituiscono la freschezza e la felicita` vagabonda della scrittura di questo eterno puer, la voce tenera e straziata dell`uomo disperato e pieno di grazia che fu antonio delfini.

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