orazio e il piu grande dei poeti lirici che la letteratura latina abbia prodotto, l?unico che si possa paragonare a pindaro tra i greci, come egli stesso fa piu d?una volta, naturalmente sminuendosi davanti al "cigno tebano". "un lirico greco senza musica", e stato detto di lui: ma quella musica, interiorizzata, romanizzata e portata sui colli della sabina, la senti risuonare sin dai primi versi della prima ode, maecenas, atauis edite regibus, / o et praesidium et dulce decus meum, "mecenate, che fosti generato da famiglia di re / e sei per me difesa e dolce titolo di gloria", e soprattutto negli ultimi, che proclamano: "io, per l?edera che e premio alla fronte dei sapienti, / son vicino agli dei; un fresco bosco, danze leggere / di ninfe e satiri mi tengono lontano dalla folla, / se euterpe non impedisce al flauto di suonare, / se non rifugge polimnia di trarre accordi dalla lira di lesbo. / e se tra i lirici vati tu vorrai annoverarmi, / mi sembrera di toccare il cielo con il capo". aveva ragione emilio pianezzola, iniziatore di questa edizione e squisito traduttore delle odi, a concludere la sua splendida introduzione con le parole di nietzsche nel crepuscolo degli idoli: "non ho mai provato [...] in nessun poeta, lo stesso rapimento artistico che mi dette, fin da principio, un?ode di orazio. [...] questo mosaico di parole in cui ogni parola come risonanza, come posizione, come concetto fa erompere la sua forza a destra, a sinistra e sulla totalita, questo minimum nell?estensione e nel numero dei segni, questo maximum, in tal modo realizzato, nell?energia dei segni - tutto cio e romano e, se mi si vuol credere, nobile par excellence". orazio, che fa poesia "autobiografica", che confessa le sue aspirazioni e le sue delusioni, dichiara di non esser stato colpito da argo, micene, delfi o atene, quanto "dalla dimora di albunea risonante, / dalle cascate dell?aniene, dal bosco di tiburno, / dai frutteti umidi per l?acqua viva dei ruscelli": inventa un nuovo paesaggio |