nell`agosto 1956, in vista della pubblicazione di questa raccolta poetica, destinata a diventare celebre, ingeborg bachmann scriveva al redattore che si stava occupando del volume: . le preoccupazioni dell`autrice non erano infondate, e difatti non manco` chi cerco` di ricondurre invocazione all`orsa maggiore agli schemi della critica letteraria dell`epoca. tentativi peregrini, perche` davvero nessuna categoria poteva attagliarsi alla poesia di quella giovane austriaca che gia` con la precedente raccolta si era imposta, nelle parole dello , come . una poesia multiforme, cangiante, dove classico e moderno si fondono in versi ora audaci e spigolosi ora di chiara musicalita`, e lo sguardo della bachmann si mostra attento a cogliere la violenza della realta` e il dolore, in particolare nei paesaggi italiani, luminosi e arcaici, feriti e vitali, lontanissimi dai cliche` della tradizione classico-romantica: . un dolore che dev`essere accettato, reso concreto, se vogliamo superare i confini che ci vengono imposti e tendere all`impossibile, all`irraggiungibile, . se vogliamo diventare vedenti, sensibili al vero, il che implica smascherare le parole della frode, gli abusi di cui sono portatrici, affidandoci al linguaggio salvifico della poesia: . |