. la prima settimana sembrava una vacanza. poi abbiamo capito che i libri di testo non li avrebbe aperti piu` nessuno, e quegli allievi rintanati dietro uno schermo andavano agguantati in un altro modo. un mese dopo, i ragazzi si collegavano dai vicoli del quartiere, dal letto, o correndo in riva al mare. la didattica a distanza e` quello che succede quando si toglie alla scuola la concretezza dei corpi, uno spazio reale in cui incontrarsi, scontrarsi, condividere, crescere. e la , dove al posto di sorrisi e bronci ci troviamo a guardare ologrammi e file. per di piu`, in una classe difficile di una zona difficile non e` detto che i ragazzi abbiano un computer: si arrangiano col telefono, quando va bene. magari quello della mamma, magari seduti accanto al nonno con l`alzheimer. e per loro non andare a scuola significa perdere la prospettiva di un altro mondo e un futuro possibile. con la rabbia e l`ingegno di chi fa il mestiere piu` bello e piu` usurante di tutti, vanessa ambrosecchio ci racconta cosa significa insegnare: non stancarsi di provare, stanare gli allievi uno a uno, scommettere su di loro, inventarsi ogni giorno domani. . cosa resta della scuola senza le levatacce al mattino, l`odore di ormoni, i panini nello zaino? senza i litigi nel cambio d`ora, gli sguardi in tralice, le corse fuori appena suona la campanella? eppure la scommessa e` sempre la stessa: riuscire a raggiungere gli allievi, a toccarli, anche se sono ben nascosti dietro una videocamera spenta, piu` simili a impiegati in smart working - soli, assonnati, |