fino ad allora hajime aveva vissuto in un universo abitato solo da lui: figlio unico quando, nel giappone degli anni cinquanta, era rarissimo non avere fratelli o sorelle, aveva fatto della propria eccezionalita` una fortezza in cui nascondersi, un modo per zittire quella sensazione costante di non essere mai li` dove si vorrebbe veramente. invece un giorno scopre che la solitudine e` solo un`abitudine, non un destino: lo capisce quando, a dodici anni, stringe la mano di shimamoto, una compagna di classe sola quanto lui, forse di piu`: a distinguerla non c`e` solo la condizione di figlia unica, ma anche il suo incedere zoppicante, come se in quel passo faticoso e incerto ci fosse tutta la sua difficolta` a essere una creatura di questo mondo. quando capisci che non sei destinato alla solitudine, che il tuo posto nel mondo e` solo la` dove e` lei, capisci anche un`altra cosa: che sei innamorato. ma hajime se ne rende conto troppo tardi - e` uno di quegli insegnamenti che si imparano solo con l`esperienza - quando ormai la vita l`ha separato da lei. come il dolore di un arto fantasma, come una leggera zoppia esistenziale, hajime diventera` uomo e accumulera` amori, esperienze, dolori, errori, ma sempre con la consapevolezza che la vita, la vita vera, non e` quella che sta dissipando, ma quell`altra, quella che sarebbe potuta essere con shimamoto, quella in un altrove indefinito, a sud del confine, a ovest del sole. una vita che forse, venticinque anni dopo, quando lei riappare dal nulla, diventera` realta`. |