scrive dostoevskij nel presentare ai lettori questo racconto perfetto, che di quell`uomo restituisce, con stenografica precisione, il soliloquio delirante e sconnesso, tutto esitazioni, ripetizioni, contraddizioni, pause, balbettii, ripensamenti. di lui sentiamo i gemiti, e perfino l`eco dei passi che tornano in continuazione al cadavere steso sul tavolo. l`uomo, quarantuno anni, ex capitano cacciato da un illustre reggimento con l`accusa di vilta` e ora titolare di un banco dei pegni, non e` un giusto, ma nemmeno un inveterato criminale. e semmai parente stretto dell`uomo del sottosuolo, con cui ha in comune la rabbia dell`individuo rifiutato dalla societa`, l`istinto dell`animale braccato. sragionando ad alta voce, cerca di capire e ricostruire le cause della catastrofe. ha amato la mite, ma torturandola con le parole e ancor piu` con il silenzio, con il perverso ideato per vendicarsi di un`antica offesa e ritrovare la dignita` perduta. e ora continua a chiedersi: . genio guastatore, maestro nel far saltare i ponti dei legami causali, dostoevskij gli nega - e lo nega ai lettori - il sollievo di una spiegazione univoca, definitiva. e il monologo si sgretola in un dialogo con immaginari interlocutori: giudici? avvocati d`ufficio? fantasmi? |