"dear life", cara vita... il titolo originale della tredicesima raccolta di storie di alice munro sembra la consueta formula epistolare di un pacificato congedo. ma ha anche, nel contesto narrativo e nell`espressione idiomatica da cui proviene, il senso di un pericolo appena scampato. scrivere alla vita, dunque, per uscirne vivi. con l`urgenza di ogni fuga, un`impazienza nuova che si manifesta in un inedito nitore. quello della narratrice di "ghiaia", il cui disincanto e tormento esistenziale sembrano raccontati dalla prospettiva raggiunta di una lucidita` imperturbabile. o del protagonista fuggiasco di "treno", che attraversa le stazioni della propria esperienza e di quella altrui con lo sguardo di un semplice passeggero a bordo della vita. quello che segue i percorsi mentali della vecchia di "in vista del lago" e del suo sconclusionato viaggio verso un passato irrecuperabile. un nitore che connota anche la lingua di pagine nelle quali munro concede alla sua prosa un`ulteriore, estrema liberta`, asciugando le proprie frasi come pietre, spolpandole fino all`osso. ossa di storie, voci lontane e ancora vive, sguardi, una parsimonia di parole, ellittica e piu` che mai essenziale. ecco che cosa resta da dire, ecco che cosa trova il lettore in "uscirne vivi": tracce di materiale radioattivo, lo stesso, pericoloso e potente, che ha attraversato, illuminandole, tutte le storie. il residuo secco. le prime e le ultime cose, rivela munro, il bandolo di un mondo realizzato in sessant`anni. |