"siamo storie, siamo le storie a cui abbiamo appartenuto, siamo le storie che abbiamo ascoltato. e infatti maggiani ascolta. ascolta il fiume di voci che si leva nel canto della nazione che avremmo potuto essere e che non siamo, le voci di un popolo rifluito dentro l`immaterialita` della memoria. si insinua nelle pieghe della vita apparentemente ordinaria dei suoi personaggi e racconta. racconta di una madre e di un padre che si spengono portando con se`, prima nella smemoratezza e poi nella morte, un mondo di certezze molto concrete: la cura delle cose, della casa, dei rapporti parentali. rammenta la fatica giusta (e ingiusta) di procurarsi il pane e di stare appresso a sogni accesi poco piu` in la`, nella lotta politica, nella piana assolata quando arriva la notizia della morte di togliatti. racconta, allestendo un maestoso teatro narrativo, della costruzione dell`arsenale militare: un cantiere immenso, ribollente, dove accorrono a lavorare ingegneri e manovali, medici e marinai, ergastolani e rivoluzionari, cannonieri e fonditori, inventori e profeti, cuoche e ricamatrici, per spingere avanti destini comuni, avventure comuni, speranze in comune. racconta di come si diventa grandi e di come si fondano speranze quando le speranze sono finite. mai si era guardato negli occhi di un padre cosi` a fondo per domandare una sorta di muto perdono, piu` grande della vita. nella mitica contea di maurizio maggiani ci siamo tutti, a misurare quanto siamo stati, o meno, `fondatori di nazioni`." |