decisamente, il piccolo yehoshua non e` portato per la santita`: le preghiere infinite del padre, i libri di morale della madre, l`onnipresenza della torah che pesa "come un macigno" sulla sua famiglia, quel mondo in cui e` attribuita piu` verita` alle fiamme dell`inferno che alla natura circostante e agli uomini concreti che la abitano - tutto cio` suscita in lui solo una sensazione di soffocamento e accende un grande desiderio di fuga. yehoshua anela ai pascoli, ai cavalli, ai giochi nei campi con i coetanei; alle letture della bibbia preferisce le storie di ladri, briganti, soldati, vagabondi; ama usare sega e pialla nella bottega del falegname piuttosto che stare rinchiuso ore e ore a scuola, sottoposto alla dura disciplina dei maestri, e mal sopporta la tirannia del senso del peccato: "qualsiasi cosa uno facesse era peccato. e ovviamente essere sfaccendati era peccato". eppure, da questi irriverenti ricordi d`infanzia, che singer ripercorre con la precisione e la brillantezza di una scrittura come sempre magistrale, traspare la nostalgia immedicabile per un mondo, quello dello shtetl, che ancor prima che il nazismo ne sancisse la definitiva cancellazione era gia` avviato al dissolvimento; di questo mondo, popolato da studenti di talmud, macellai rituali, rabbini, artigiani, mendicanti, scaccini zoppi, maestri folli e scolari riottosi, singer ci consegna un ritratto cosi` vivido che ci pare di udirne le voci, di percepirne gli odori - e quasi saremmo tentati di scrollarcene di dosso la polvere. |