nelle pagine dei racconti "la nascita del che", a partire dal primo ed eponimo, attraverso un io narrante che fa pensare al hrabal di "una solitudine troppo rumorosa", passa un`aria assiepata e sfatta, di astuzia e decadimento, di inganno e di destino. da un lato c`e` la voce dell`avventura dentro un mondo che puo` (ancora) prestarsi all`imprevisto, alle folgorazioni di un ancora credibile fantastico naturale, dall`altro la registrazione di un inganno ottico, di una realta` che accade nella storia (e che dunque ne subisce i sussulti, ne enfatizza gli scarti, ne osserva le infiltrazioni, le ruggini, le crepe). ma realta` che accade anche nella memoria, e in una memoria a sua volta sdoppiata: per un verso l`illusione di un mondo sensibile, per altro verso il confronto con un vuoto o un`assenza, il tentativo di colmare un bisogno d`incontro che passa attraverso le tracce di qualcosa che giace nello sprofondo di un immaginario labirinto del possibile. il tutto addensato in una scrittura satura, piena d`echi; impastato in un linguaggio che assomiglia alla sorprendente e surreale baia de regla (paesaggio di un cimiteriale acquatico, metafora di un raggrumarsi delle storie) che anima buona parte delle pagine finali. |