il secolo scorso ha variamente proclamato la fine della filosofia in quanto metafisica. nel nuovo millennio si indovinano, a livello istituzionale, sintomi di una sempre piu` conclamata obsolescenza degli studi umanistici, e quindi della filosofia intesa come disciplina accademica ed esercizio puramente intellettuale. eppure, nel gesto ampio di questo transito epocale, trovarsi di fronte ai testi antichi puo` essere occasione di esperienze sorprendenti. vale a dire, avvicinarsi al testo nella sua materialita` impervia, nell`effetto straniante della sua opacita`, nella sua refrattarieta` alla risoluzione interpretativa o manualistica, puo` liberare risorse inattese per il pensiero, mettere a fuoco domande che non hanno cessato di riguardarci - che interrogano l`umano, le sue vicende e possibili configurazioni, le scelte, i percorsi, l`ipotesi della felicita`. incontrare l`antico (aristotele, per esempio) in questo modo implica coltivare l`intimita` con cio` che ancora ci elude. allora diagnosticare la fine, intravedere altri inizi, non significa superare, passare oltre, ne` ancora andare altrove. l`origine ci scruta enigmatica. il suo mistero inconsumato ci sta davanti. lungi dal comportare una deposizione o un ritorno, lo sguardo volto al passato si espone a cio` che nel passato resta impensato, inaudito. forse e` proprio cogliendo l`antico nel suo carattere insondabile che si vi puo` intravedere la possibilita` inespressa: nella fine, in seme, il compito del pensiero a venire. |