Le fiabe di Hans Christian andersen costituiscono un corpus narrativo che non ha uguali per forza e ampiezza di diffusione nell`ambito delle culture occidentali. Composte e pubblicate fra il 1835 e il 1874, esse scaturiscono in gran parte dalla fantasia originale dell`autore e solo in minima parte dalla materia popolare cui pure, almeno inizialmente, egli dichiaro` di ispirarsi. Il fatto e` che andersen non si limita a ripercorrere e reinterpretare il filo della grande tradizione favolistica europea, inaugurata da basile, fissata da perrault e ulteriormente strutturata da hoffmann. Dotato di un`inquieta tensione romantica e di un`autentica consapevolezza borghese, andersen cambia radicalmente la prospettiva della fiaba. Prima di lui maghi, streghe, gnomi, draghi, fate e orchi erano figure dotate di poteri speciali, dalla sapienza impenetrabile, misteriosa, ignota al lettore. Andersen, al contrario, opera una sorta di umanizzazione di animali e cose e spesso s`immerge egli stesso nelle creature di sua invenzione, diventando di volta in volta un abete, un salvadanaio, una lumaca, una teiera. E qui il segreto del suo planetario successo: inventare figure irreali, per poi subito immergerle nel mondo reale, nella quotidianita` delle passioni e delle pulsioni. introduzione di vincenzo cerami. |