luigi di ruscio e` stato poeta e narratore. dagli anni cinquanta e` stato subito riconosciuto come un talento violento, dissacrante, che si e` presto smarcato dall`etichetta sbrigativa di poeta-operaio per costruire una possente, vorticosa avventura letteraria che comincia dentro l`italia ferita del dopoguerra. quando di ruscio, nel 1957, lascia le marche per trasferirsi in norvegia, dove ha lavorato e costruito una famiglia, le sue prose si fanno ancora piu` intense e febbricitanti. la sua lingua, esiliata, si apre, si scardina, si reinventa. il ritmo si fa convulso e netto. non meno di scrittori come gadda, d`arrigo, roversi e pagliarani, di ruscio finisce per dare corpo a opere che, come dice andrea cortellessa, "recano su di se` le macchie, gli urti, le ferite della storia: termometri sempre in azione, segnavento che non si fermano mai; e che, cosi` a lungo esposti all`infuriare degli eventi, si rivelano anche accumulatori, giacimenti, immensi archivi viventi d`una storia che continua a passare senza essere mai passata del tutto". "palmiro", "cristi polverizzati", "neve nera" e "apprendistato", raccolti per la prima volta insieme in questo volume, ben corrispondono a quelle che l`autore ha chiamato "memorie romanzesche" - una complessa, beffarda immagine dell`italia degli anni cinquanta, l`unica italia che lo scrittore ha di fatto conosciuto. |