"come al solito non sono mai le virtu`, ma sempre i vizi, a dirci chi e` di volta in volta l`uomo. e allora guardiamoli da vicino questi vizi," cosi` comincia umberto galimberti e prende le mosse dai vizi capitali: accidia, avarizia, gola, invidia, ira, lussuria, superbia. identificati come "abiti del male" da aristotele, come "opposizione della volonta` dell`uomo alla volonta` divina" nel medioevo, come espressione della tipologia umana nell`eta` dei lumi, appaiono infine come manifestazione psicopatologica nel novecento. "e cosi`, fuoriescono dal mondo morale per fare il loro ingresso in quello patologico. non piu` vizi, ma malattie dello spirito." alla luce di questa sequenza storica, galimberti "ambienta" i vizi nel panorama contemporaneo conflittualmente compresi fra la funzionalita` (anche del male) propria dell`eta` della tecnica e l`urgenza dell`etica. segue un`ampia ricognizione su quelle tendenze o modalita` comportamentali per le quali suona efficace (e impropria) la definizione di "nuovi vizi": la sociopatia, la spudoratezza, il consumismo, il conformismo, la sessomania, il culto del vuoto, la volutta` dello shopping, la dipendenza dalla merce`, la meccanicita` del sesso hanno a che fare con il dissolvimento della personalita`. sono di fatto la negazione del modello "vizioso". inquadrarli come vizi fa si` che si possa parlarne, onde "esserne almeno consapevoli e non scambiare per `valori della modernita`` quelli che invece sono solo i suoi disastrosi inconvenienti". |