quando si nasce nella "prigione chiamata albania", esistono solo due modi di orientare lo sguardo. c`e` quello del pittore petraq, che cammina chino sull`asfalto e sembra rimpicciolire ogni giorno di piu`: e` lo sguardo basso della colpa, di chi si vergogna della propria vecchiaia, ma anche della propria bellezza, o di un marito che ha troppa voglia di fare l`amore. e poi ci sono gli occhi puntati dritti verso formidabili orizzonti: e` lo sguardo di gazi che attraversa l`adriatico e sogna di portare la sua musica in italia, in francia, negli stati uniti. sono gli occhi di teuta mentre stropiccia il foglietto su cui e` segnato l`indirizzo che dovrebbe accoglierla a roma, quelli di sabrina inghiottita dal mare, e di lumturi che si nutre delle pagine di proust e stendhal. complice un tempo che sembra eterno, l`albania smette di essere prigione per diventare limbo, uno stato transitorio nel quale si sopravvive coltivando "promesse d`altrove", fino al giorno in cui si parte davvero. ed eccolo, finalmente, "il paese dei miracoli", un luogo in cui la bellezza femminile non e` piu` dannazione ma fortuna, il pesce non ha le lische e le scatole di te` racchiudono prodigi mai sentiti. ma l`autrice di questi quattordici racconti, che ha lasciato tirana a ventidue anni e ha scelto di scrivere in italiano, di sguardo ne ha inventato un altro: obliquo, che gioca a ribaltare le ovvieta` della lingua e dell`esistenza. |