in un`epoca in cui il pensiero occidentale si estenua in avvitamenti e incagli, il dialogo con categorie altre, elaborate da culture remote e nel contempo ormai contigue, appare come una delle poche vie percorribili per uscire dalla strettoia di una sterile quanto perniciosa ricerca identitaria. che qualcosa di piu` di una educata e tollerante conoscenza sia possibile lo insegna la vicenda della filosofia in giappone. di conio piuttosto recente nella sua forma ideografica (1862), la parola dalla storia plurimillenaria prende dimora in una forma mentis pervasa di modi dottrinali, andamenti riflessivi, concezioni religiose che con la grecita` e le sue lunghe filiazioni non sembrano avere punti di tangenza. eppure l`incontro avviene, grazie alla virtu` tutta giapponese di assimilare e armonizzare con l`autoctono quel che giunge d`oltremare: la scrittura, l`ideale confuciano, il buddhismo, e da ultimo, anche se aporeticamente, la filosofia, soprattutto nei suoi esiti postkantiani e posthegeliani. virtu` assimilativa a cui certo non e` estranea una "vocazione terminale", tipica di una terra dell`approdo che si e` sempre autorappresentata quale luogo di perfezionamento e compimento di cio` che nasceva altrove, ma che, nondimeno, non ha mai ceduto allo spirito della pura mescolanza. |