nella fantascienza arcaica succedeva spesso che uno scienziato mosso dalle peggiori intenzioni escogitasse un raggio, o qualche altra diavoleria, in grado di ridurre uomini e cose a fattezze minuscole. forse alcune di quelle formule sono finite in mano a roberto abbiati, e forse abbiati - scenografo, e regista di se stesso - ha deciso di sperimentarle su uno degli esseri piu` smisurati che abbiano mai posseduto l`immaginazione occidentale: moby dick. di fatto, ha costruito una bizzarra macchina teatrale - una scatola di quattro metri per due, che contiene quindici spettatori - usando la quale il suo ismaele racconta di ahab, della balena, e di quasi tutto il resto. ma lo fa in quindici minuti. a colpire, qui, non e` solo il tentativo di raccontare una vicenda enorme nel minore spazio e nel piu` breve tempo possibili - anche perche` questa sembra essere una fantasia ricorrente, che ha sedotto autori come stephen king e john huston, orson welles e joseph cornell. a stupire e` piuttosto il sortilegio di cui, percorrendo questo curioso libro, finiamo per cadere vittime. dopo essere entrati nello spettacolo descritto dal racconto di codignola e dai disegni di abbiati, infatti, ci ritroviamo a esplorare un mondo in miniatura, ma completo in ogni sua parte: e scopriamo con una certa meraviglia di desiderare tutto, tranne l`antidoto capace di riportarci alle dimensioni usuali. |