quando, alla fine del secondo pannello della trilogia, il giovane tito, signore di gormenghast, trova la forza di strapparsi al suo reame, la cui bellezza si e` ormai corrotta in cupa fatiscenza, le parole della madre - "non esiste un altrove. tutto conduce a gormenghast" - sembrano richiudersi sulla sua fuga come una pietra tombale. scoprira` che un altrove esiste, ma che e` divorato non meno di gormenghast dal male: la citta` a cui approda e` solcata dalle disumane meraviglie del controllo poliziesco - figure con l`elmetto che paiono scivolare sul terreno, sciami di velivoli senza pilota simili a equazioni di metallo, globi dalle viscere colorate quasi umane -, sottomessa a una scienza dispensatrice di morte. e nei cunicoli del sottofiume vive una immane popolazione di reietti, fuggiaschi, falliti, mendicanti e cospiratori che non vedranno mai piu` la luce del sole. scoprira` che al di la` della sua nessun`altra realta` e` per lui decifrabile, cosi` come la sua e` per gli altri inconcepibile: lontano da gormenghast non c`e` che l`ossessione del ricordo, e la follia. dovra`, sorretto dall`aiuto di pochi - il gigantesco musotorto, l`amorosa giuna, i transfughi del sottofiume cancrello, frombolo e sbrago -, combattere, sfuggire a insidie, sottrarsi a ogni vincolo d`amore, amicizia e riconoscenza per conquistare l`unica verita` che conti: "era come una scheggia di pietra, ma dov`era la montagna dalla quale si era staccata?". |