adolfo baravaglio ha cinquantadue anni e da diciotto, in seguito a un incidente d`auto, e` tetraplegico, bloccato in un letto. puo` muovere solamente il collo, le spalle e il braccio destro, ma non la mano. con la morte di piergiorgio welby il dibattito sull`eutanasia si e` di nuovo spento, e da allora adolfo si sente piu` solo che mai nel combattere la sua battaglia: "ci obbligano a marcire in una gabbia grande quanto il corpo; va rispettato il principio secondo cui un essere umano non puo` disporre della propria vita: un dogma, un credo religioso che ci impone lo stato. io invoco una vera e propria legge sull`eutanasia". una battaglia che l`ex operaio di biella sta portando avanti da tempo e che lo ha spinto a raccontare la sua vita o, meglio, cio` che ne e` rimasto dopo anni di pressoche` totale immobilita`. "la sofferenza di adolfo all`apparenza non ha nulla di glorioso. e dolore subdolo, indifferente, senza eco, di animali lasciati a marcire in una gabbia, dei quali si devono soffocare i lamenti, pezzi di carne viva senza dignita`, disgustoso orrore, bruttura e basta, da dimenticare, da non pensarci se vuoi vivere tranquillo", dice gabriele vidano, che ha raccolto la testimonianza di adolfo, dando vita insieme a letizia moizzi, che ha invece ripreso le parole di agnese, la moglie di baravaglio, a un libro che, nella sua essenzialita` e durezza, aiuta a comprendere e soprattutto offre un importante contributo a un dibattito di rilevanza cruciale. |