"fatti di fuoco, strafatti di fuoco, ardore gratuito, grande fiammante falo`, olocausto, auto-immolazione che non lascia tracce di se` forgiandosi con, attraverso e nelle viscere del fuoco. lo zazen che facciamo non restera`. non restera` quello che facciamo. atroce rogo, (involontaria) convinzione che proprio quel corpo in fiamme pervadera`, con quello scintillante sacrificio, l`intero vasto spazio vuoto. nello stesso tempo zazen e` eterno. ma qual e` quello zazen che e` per sempre? quello al quale premettiamo la morte, cioe` il nascere-morire come la prima grande questione, il primo grande avvenimento. `ichi dai ji`. quello che restera` non e` il nostro sforzo di fare meglio, di progredire. quello che rimarra` di noi e` il superfluo, l`inutile. quel che restera` sara` celebrazione, il fatto di impegnarsi totalmente in cose assolutamente superflue. il nostro superfluo comunica superfluo dell`eternita`. quando scriviamo morte, quel che si pone all`altezza della morte e` vestire bene, un buon abito, pettinarsi o rasarsi, come i trecento delle termopili fecero prima di affrontare il grande esercito di serse." (taiten guareschi) con lo sritto "camminando fra le nuvole, armati di ardente desiderio" di filippo attendendo. |