"avevo due anni quando i russi invasero l`afghanistan. poco dopo, i miei genitori se ne andarono, come milioni di altri rifugiati. per anni ho vissuto come una qualsiasi bambina occidentale, con lo sguardo piu` piantato nel futuro che nel passato, ignorando le mie radici. ma, un giorno, vaghi ricordi della mia identita` hanno iniziato a raggiungermi, frammentati come lo stesso afghanistan. tra essi, una foto di mia nonna hamida, da cui ho preso il nome. una foto sopravvissuta a un colpo di stato, all`occupazione sovietica e alle squadre di talebani che battevano casa per casa in cerca di immagini da bruciare. mi ci erano voluti mesi per convincere un mio cugino di kabul a separarsene. doveva essere sulla trentina allora, lo sguardo volitivo, il capo scoperto, i lunghi capelli neri leggermente raccolti. mia nonna era una poetessa e una progressista, una specie di virginia woolf afgana. un suo verso dice che non c`e` dignita` nello chador, un secolo prima dei talebani e di bin laden. non potevo fare a meno di chiedermi come potesse essere nata nello stesso posto di quei fanatici che avevano riportato il paese al settimo secolo." (h. ghafour). |