chi parla, soprattutto se da posizioni di autorita` o in contesti istituzionali, ha una pesante responsabilita`: cio` che diciamo cambia i limiti di cio` che puo` essere detto, sposta un po` piu` in la` i confini di cio` che viene considerato normale, assodato, legittimo. e cambiare i limiti di cio` che puo` essere detto cambia allo stesso tempo i limiti di cio` che puo` essere fatto: ci abituiamo a una mancanza di attenzione e vigilanza sulle parole, che rende piu` accettabile la mancanza di vigilanza sulle azioni. il silenzio, l`indifferenza o la superficialita` con cui spesso accogliamo gli usi offensivi di altri corrono il rischio di trasformarsi in consenso, approvazione, legittimazione - e muta noi in complici e conniventi. cosi` il libro indaga una delle declinazioni piu` interessanti del tema della violenza: quello che e` diventato comune chiamare hate speech (`linguaggio d`odio` o `discorso d`odio`). con questo termine si indicano espressioni e frasi che comunicano derisione, disprezzo e ostilita` verso gruppi sociali e verso individui in virtu` della loro mera appartenenza a un gruppo; le categorie bersaglio dei discorsi d`odio vengono identificate sulla base di tratti sociali come etnia, religione, genere, orientamento sessuale, (dis)abilita`. lo hate speech raccoglie usi discorsivi estremamente vari: dalla propaganda nazista alle leggi sull`apartheid, dal discorso ideologico di certe formazioni politiche fino agli esempi quotidiani di linguaggio d`odio divenuti ormai tristemente frequenti. un tema diventato ancor piu` d`attualita` con il diffondersi dei nuovi media: commenti sessisti, insulti razzisti e attacchi omofobici hanno trovato un ambiente ideale per esprimersi online, dove spesso mancano mediazioni, filtri o (auto)censure. |