normalmente si interpretano le opere d`arte lasciando nell`ombra la figura del loro autore, nonostante vi sia un`unita` inscindibile tra la persona dell`artista e la sua opera: forme e corpi ovunque, ma mai un essere umano in carne e ossa. nel contrastare questa concezione plurisecolare, andreas beyer restituisce alla corporeita` dell`artista l`importanza che merita, portando in primo piano la fisicita` e la vita quotidiana degli antichi maestri rinascimentali e, mentre circoscrive l`incessante ridefinirsi del rapporto fondante tra corpo e opera, allarga la visuale su alcune esperienze artistiche a noi piu` vicine (da vincent van gogh a marcel duchamp, da marina abramovic a tracey emin). jacopo pontormo annotava meticolosamente i suoi pasti e le fasi digestive, michelangelo disegnava non solo capolavori ma anche le liste della spesa per andare al mercato. e se durer manifestava un ambizioso sentimento di se` come individuo e artista negli autoritratti, e persino ideando le scarpe perfette per il suo piede, francesco borromini spinse la critica al proprio lavoro di architetto fino al punto di suicidarsi. a lungo questi aspetti non hanno trovato spazio nei dibattiti che fin dal rinascimento indagano su cosa sia lo stile personale di un artista e cosa lo renda unico e irripetibile. la storia dell`arte finiva cosi` per rimanere in gran parte una storia intellettuale dove scompaiono i bisogni e le peculiarita` dei corpi. ma se ignoriamo il corpo dell`artista raccontiamo soltanto meta` della storia. nella sua ricerca della corporeita` perduta, beyer si occupa per la prima volta e in modo completo della fondamentale influenza del corpo dell`artista sulla produzione delle opere. un cambio di prospettiva necessario per cominciare a scrivere una storia dell`arte nuova e sensuale. |