

protagonista del romanzo e` kim, figlio di una governante e di un sergente irlandesi stabilitisi in india. rimasto orfano, continua la sua vita da indu`, evitando orfanotrofi e missionari. conosciuto un lama tibetano, kim si mette al suo servizio ma, incappato nel reggimento di suo padre, viene costretto a frequentare un collegio inglese dell`india, dove restera` fino ai quindici anni. anche se i servizi segreti cercano di farne un perfetto agente, kim torna, non appena puo`, alla vita da lui desiderata. ma alla fine, quando ritrovera` il suo lama, le loro strade non potranno piu` congiungersi.

obeso, la testa rasata e gli occhi saggi, don isidro parodi prepara, lento ed efficiente, il mate in un piccolo bricco celeste: e intanto invita la pittoresca schiera dei suoi clienti a esporgli con chiarezza i misteri che li affliggono e che lui invariabilmente risolvera` lasciandoli di stucco. enigmi labirintici e inestricabili, di fronte ai quali qualsiasi altro investigatore avrebbe l`accortezza di battere in ritirata: come il caso del talismano di giada trafugato dal tempio della fata del terribile risveglio nello yunnan e avventurosamente approdato a buenos aires, dove gli danno la caccia il mago tai an, la conturbante madame hsin, l`ebanista russo samuel nemirovsky e altri non meno improbabili personaggi. ma a questo punto e` forse il caso di precisare un dettaglio piuttosto rilevante: i colloqui fra l`imperturbabile e geniale detective e la sua variopinta clientela hanno luogo nella cella 273 del penitenziario nazionale, in calle las heras. in effetti don isidro, ex barbiere nel quartiere di sur, sta scontando ventun anni per l`assassinio di un macellaio, un certo agustin r. bonorino - assassinio che ovviamente non ha commesso. come se non bastasse, a raccontarci le sue fantasmagoriche e sedentarie avventure e` il dottor honorio bustos domecq, torrenziale poligrafo clamorosamente inesistente. a muoverne la penna e` infatti la beffarda, spumeggiante complicita` di due sodali efferatamente ironici, fautrice di parecchi e deplorevoli misfatti letterari, di cui non potremo piu` fare a meno.

"personalmente, ne sono rimasto assolutamente, oscuramente affascinato; mi sono divertito ed ho anche riso, essendo consapevole contemporaneamente che si trattava di un libro sinistro; sono stato irretito in un mondo d`ombre, di disossate e consunte meduse umane, avvertendo insieme che quei bizzarri profili di carta e parole erano capaci di lancinanti squisitezze logiche e di raffinate, sapienti, intollerabili sofferenze. e satira? non lo so; forse si`, giacche` la satira e` il genere piu` ambiguo, piu` sordido, e sa congiungere in se` l`odio e il riso, la ripugnanza e la seduzione; sa essere disperata e furba. questo libro e` satira come il viaggio di gulliver tra i cavalli sapienti, i nobili animali che gli rivelano come si possa tollerare d`esser uomini solo difendendosi nella follia." (giorgio manganelli)


una terribile peste dilaga a napoli dal giorno in cui, nell`ottobre del 1943, gli eserciti alleati vi sono entrati come liberatori: una peste che corrompe non il corpo ma l`anima, spingendo le donne a vendersi e gli uomini a calpestare il rispetto di se`. trasformata in un inferno di abiezione, la citta` offre visioni di un osceno, straziante orrore: la peste - e` questa l`indicibile verita` - e` nella mano pietosa e fraterna dei liberatori, nella loro incapacita` di scorgere le forze misteriose e oscure che a napoli governano gli uomini e i fatti della vita, nella loro convinzione che un popolo vinto non possa che essere un popolo di colpevoli. null`altro rimane allora se non la lotta per salvare la pelle: non l`anima, come un tempo, o l`onore, la liberta`, la giustizia, ma la "schifosa pelle". come ha scritto milan kundera, nella "pelle" malaparte "con le sue parole fa male a se stesso e agli altri; chi parla e` un uomo che soffre. non uno scrittore impegnato. un poeta".

(domenico de robertis). nessun artista e` in grado di prevedere i cambiamenti che il tempo potra` apportare al contesto pubblico della sua opera, nemmeno dante. per intendere oggi la e` dunque necessario al lettore ripercorrere all`indietro la strada che ci separa dal mondo in cui dante e` vissuto, diventare uomo del medioevo e ricostruire in se` la dimensione pubblica dell`opera dantesca. solo a questa condizione la non sara` piu` il luogo convenzionale della mente a cui troppo spesso hanno abituato le letture scolastiche, ma un universo vivente dove ogni numero, ogni verso, ogni struttura ha un significato preciso. la lezione di uno dei maggiori dantisti del novecento.