


nei tre libri del "de bello civili", cesare racconta la guerra che devasto` lo stato romano tra il 49 e il 48 a.c., dal passaggio del rubicone fino alla tragica morte di pompeo. gia` cicerone pensava che nessuno meglio di cesare potesse scrivere la storia delle sue guerre. in effetti la sua prosa tersa, concisa ed efficace, priva di retorica e pregna di chiarezza di giudizio, ha contribuito non poco alla costruzione del mito di giulio cesare. suo intento principale era quello di dimostrare come fosse stato forzato a ricorrere alle armi dagli avversari che, privandolo del potere nel 49, lo avevano di fatto esposto alle vendette dei nemici.


puo` un`opera d`arte, per quanto misteriosa e difficile da decifrare, attrarre con forza disorientante l`anima delle persone, travolgendola fino allo stordimento? un dipinto che raffigura un cavaliere e una strana coppia di sposi sullo sfondo di una campagna minacciata dall`alta marea, esercita proprio questa inspiegabile attrazione sui personaggi che vi ruotano intorno. di quest`opera alquanto singolare, il cui titolo - la sposa della morte - non aiuta a rivelare l`enigmatico significato, si conosce solo il nome dell`autore, un certo markus eberden, vissuto per qualche tempo in un convento a lonely island, nelle regioni delle maree, a sud della gran bretagna. la storia si svolge in un presente non definito poiche` il passato torna a rivivere in esso, e i destini sembrano sovrapporsi come in un allucinato de`ja` vu. le voci dei personaggi narranti - i cui nomi sono non a caso anagrammi l`uno dell`altro (eros-rose, nevile-evelyne, delio-odile) - si alternano nel tempo che passa, raccontando la loro esperienza, il proprio punto di vista, confondendosi con l`alzarsi e l`abbassarsi della marea, in un ritmo incessante, come quello della vita e della morte. a ricomporsi infine con implacabile simmetria nel vortice delle corrispondenze karmiche e` un mosaico talmente perfetto da riproporre un nuovo insondabile enigma.

l`ho detto ai carabinieri, l`ho detto al procuratore, l`ho detto a tutti quelli che mi hanno chiesto "cosa avete visto?": l`albero, abbiamo visto, l`albero ghiacciato. e stata la prima cosa che abbiamo visto, appena arrivati al bosco - e anche dopo, quando abbiamo visto il resto, e` rimasto l`unica cosa intera che abbiamo visto. l`albero. era li`, al suo posto, all`imboccatura del bosco, cristallizzato come sempre nel suo cappotto di ghiaccio, la cui trasparenza era offuscata dalla neve fresca - ma era rosso. era rosso, si`, come se beppe formento, nell`atto di ghiacciarlo, avesse messo dello sciroppo di amarena nel cannone. in quel bianco fatale era l`unica cosa che mantenesse una forma, e sembrava - non esagero - acceso, pulsante di quell`intima luce aurorale che ancora oggi mi ritrovo a sognare. sogno quella trasparenza rossa, si`, ancora oggi, e la sogno senza piu` l`albero, ormai, senza nemmeno piu` la forma dell`albero: sogno quel colore e nient`altro. un tramonto imprigionato in un cielo di gelatina, un sipario di quarzo rosso che cala sul mio sonno, un`immensa caramella charms che si mangia il mondo, ho continuato a sognare quella trasparenza rossa e continuo a farlo, perche` e` cio` che abbiamo visto, quando siamo arrivati al bosco. cosa avete visto? abbiamo visto l`albero ghiacciato intriso di sangue.



la societa` in cui viviamo e` dominata dai modelli del successo e della realizzazione personale. il valore di ciascuno viene misurato in termini di "competenze" e "risultati", in una sovrapposizione di vita professionale e privata, e sempre piu` spesso si assiste all`estensione dei concetti peculiari del management aziendale alla dimensione piu` intima dell`esistenza. sul lavoro vengono richiesti, al tempo stesso, autonomia e conformismo, spirito d`iniziativa e adesione totale alla mission. ma quale autonomia puo` avere chi e` libero nel modo di realizzare un obiettivo ma non ha alcuna voce in capitolo nella sua definizione? inoltre, nel momento in cui gli obiettivi prefissati non sono raggiunti, vengono messe in discussione competenze e autonomia. proprio dall`incoerenza di questi messaggi nasce il disagio della contemporaneita`. l`autrice, filosofa e ricercatrice presso il cnrs a parigi, attacca l`idea diffusa secondo cui l`individuo acquisisce dignita` e valore soltanto attraverso il lavoro. si tratta, in realta`, di un tranello concettuale che consente ai manager di chiedere ai loro impiegati una cosa e il suo contrario: ambiziosi risultati lavorativi e realizzazione personale, impegno e flessibilita`, autonomia e conformita` alla cultura aziendale. questa sottile manipolazione spinge le persone a considerare se stesse come gli "imprenditori" di una piccola "azienda" che coincide con la propria vita, sempre in bilico tra un obbligatorio successo e il rischio del fallimento.



