
e noto che il pensiero indiano fece irruzione sulla scena filosofica europea grazie all`entusiasmo suscitato in schopenhauer dalla lettura della prima traduzione occidentale delle upanisad ad opera di anquetil-duperron, uscita nei primissimi anni dell`ottocento. meno noto e` che per la sua versione latina anquetil-duperron si era basato su una traduzione persiana, realizzata nel 1657 e patrocinata dal principe moghul muhammad dara` siko`h (1615-1659). la dinastia musulmana dei moghul, che regno` sull`india a partire dal 1526, aveva gia` mostrato grande apertura e interesse per il sapere indiano, in particolar modo durante il regno dell`imperatore akbar, ma il suo pronipote, dara sikoh, si spinse ben piu` in la`. affiliato alla confraternita sufi della qadiriyya e seguace delle dottrine del grande mistico musulmano ibn `arabi, attraverso l`assidua frequentazione di yogin e sapienti indu` giunse alla conclusione che rispetto al sufismo non vi era "differenza alcuna, fuorche` divergenze lessicali, nel loro modo di percepire e comprendere il vero". a sostegno di tale tesi nel 1655 scrisse "la congiunzione dei due oceani", in cui si sforzo` di mostrare la puntuale corrispondenza fra i princi`pi della tradizione spirituale indu` e quella musulmana. posizione tanto audace quanto pericolosa: pochi anni dopo, quando il fratello aurangzeb si impadroni` del trono e pose fine alla lunga tradizione di tolleranza religiosa dei sovrani moghul, l`illuminato sincretismo di questo libro gli costo` la testa.


bambini che costruiscono castelli in terra e in aria, una piccola carriola simile a un`utopia, una donna che ospita piccioni e malattie, due amiche invecchiate insieme ai loro desideri, un vedovo che per cinque anni attende una risposta dal mare, e altri uomini ancora, alle prese con la vita, sullo sfondo di paesaggi che sembrano destini. undici racconti che danno voce a uno sguardo impossibile, rasente la terra, come quello di un angelo pietoso che ha perso le ali.


in "verdi colline d`africa", hemingway racconta di avere centrato con un colpo di fucile, durante un safari in kenya, una iena, e di aver sentito poi la sua guida apostrofarla rabbiosamente "ermafrodita, divoratrice di morti... faccia furba da cane bastardo sempre voltata indietro". tratti che riassumono un pregiudizio diffuso ovunque le iene si siano insediate: ovunque, tranne che a harar, "metropoli" etiope d`altura dove non e` raro vederle aggirarsi quiete per le strade, mentre gli abitanti offrono loro cibo per farne attrazioni turistiche. a lungo marcus baynes-rock ha frequentato le iene di harar, fino a stabilire con loro una progressiva, stupefacente intimita`; e nel dar conto delle innovative acquisizioni delle sue ricerche sul campo getta nuova luce anche sull`ancestrale avversione che gli uomini manifestano nei loro confronti. baynes-rock risale infatti a quel lungo e remoto periodo dimenticato, in cui i nostri antenati furono per le iene prima oggetto di predazione e poi avversari nello scavenging: l`atto di mangiare i resti di un animale ucciso da altri - termine oggi eufemizzato e ridotto a descrivere la cosiddetta "ripulitura" delle carcasse. una rimozione che cancella una parte immensa della storia evolutiva, quella che ha dato inizio alla trasformazione dell`uomo in predatore e sovrano della catena alimentare. da questa illuminante e schiacciante premessa, baynes-rock sa trarre una memorabile lezione etologica e, rovesciando ogni prospettiva, riesce a renderci quasi familiare un animale ostile e alieno. cosi`, come scrive elizabeth marshall thomas nella sua ammirata prefazione, leggendo queste pagine a ognuno di noi verra` da pensare: "se conoscessimo tutti gli animali come lui conosce le iene, salveremmo il mondo".