per lungo tempo la storia e` stata raccontata cosi`: fra sei e ottocento, gli artisti europei arrivavano (piu` o meno obbligatoriamente) in italia, dove a contatto con un paesaggio ancora simile all`arcadia, e con le maestose rovine della civilta` classica, trovavano il senso di un mestiere che avrebbero poi passato il resto della vita a perfezionare. di questa parabola fin troppo lineare il nuovo libro di anna ottani cavina costituisce una variante piena di scoperte e di sorprese. e vero, sostiene ottani cavina in questa sua arringa illustrata, gli artisti del nord in italia trovavano qualcosa, come la luce, cui gli studi non li avevano preparati; e, anche questo e` vero, il trauma culturale e visivo li portava a modificare i loro stessi strumenti, l`uso che ne facevano: a esasperare il disegno, ad esempio, oppure, in una gran quantita` di casi, ad abbandonarlo del tutto. ma in questo modo non lavoravano a una replica fedele di quanto avevano visto, e vissuto: piuttosto, uno schizzo alla volta, una tela dopo l`altra, poussin, thomas jones, granet e molti altri cominciavano in realta` a costruire quasi dal nulla quel luogo dell`immaginazione e della memoria che da allora tutti noi, credendo di conoscerlo da sempre, chiamiamo italia. |