per avere idea del fascino, ancora prima che delle straordinarie virtu` intellettuali, di viktor sklovskij, bisogna cercare alcune citazioni solo apparentemente marginali di "grazie per le magnifiche rose" di arbasino o rileggere una ventina di pagine di "sessanta posizioni", sempre di arbasino. si puo` cosi` intuire la forza magnetica, sostenuta da una mitica grandezza, dell`anziano e garbatissimo professore, che a vederlo di lontano aveva forse qualche tratto in comune con il pnin di nabokov. un suo passaggio a roma alla fine degli anni sessanta o all`inizio dei settanta, in una capitale che aveva creduto - incontrando il sessantotto - di sperimentare la rivoluzione in proporzioni bonsai, si risolse nella solita richiesta di interviste, di autografi, di applausi, pero` delusi perche` il genio, a differenza dei divi, non si puo` fotografare, ne` puo` far scena in ambienti affollati. cosi` l`incontro non rese giustizia allo strepitoso autore del testo che qui presentiamo, "capace di trasformarsi, senza darlo a vedere, in una sorta di coautore d`un romanzo pure in se` perfetto e in nessun modo perfettibile quale guerra e pace". in che modo riesca nell`impresa lasciamo ai lettori il piacere di scoprire. introduzione di lucio villari. |