"in passato, quando mi ponevo di fronte a un lavoro d`arte, la sua appartenenza a una particolare serie di lavori, a una certa epoca, a una determinata scuola, mi assorbiva in modo cosi` completo ch`esso perdeva per me la propria specificita`. era mia regola costante, allora, cercar di conoscere tutto quello che si sapeva in proposito. non intendo dire dell`oggetto in questione, bensi` del genere al quale apparteneva: cristiano dei primi secoli, bizantino, romanico, gotico e cosi` via. mi sprofondavo interamente nell`uno o nell`altro di quei grandi capitoli e li vivevo in serie successive. l`individuale, lo specifico lavoro artistico da cui avevo preso le mosse non era che un ago dentro il mucchio di fieno costituito dal suo genere: un ago da scoprire, il giorno che ne avessi avuto voglia, sulla scorta delle indicazioni affidate alla memoria o alla carta. (...) ora capisco bene di aver perduto gran parte di quanto in passato mi accompagnava come un patrimonio sempre disponibile. ho perduto memoria di fatti e di nomi, ho perduto moltissimo di quanto costituiva il corredo dottrinale riferentesi a questa o a quell`opera: quasi tutto ho perduto, ma non la prospettiva e la processione del tempo, ossia cio` che costituisce il senso da cui la cultura viene generata." (bernard berenson9 con uno scritto di emilio cecchi. |