se c`e` un libro in grado di dividere i lettori fra chi rischia di contrarre in una forma o nell`altra il morbo del tennis, e chi invece ne risulta immune, e` questo. dove si rivive, un punto dopo l`altro, la semifinale di forest hills 1968 fra arthur ashe e clark graebner - la prima disputata da un tennista nero agli albori dell`era open, ma anche e soprattutto la prima partita di tennis raccontata dall`interno del luogo enigmatico e fino ad allora inesplorato che il gioco abita, e spesso devasta: la mente del tennista. guardandola per caso alla cbs, john mcphee era subito rimasto incantato dal magnifico arabesco che i colpi dei due protagonisti - diversi in tutto, e in primo luogo nello stile - disegnavano sull`erba. ma rivedendo il match insieme a ashe e graebner ascoltandone i racconti, trascrivendone le reazioni - mcphee lo ha poi ricostruito, in livelli di gioco, con due soli accorgimenti: la demoniaca accuratezza descrittiva che ha fatto di lui una leggenda della narrativa americana, e i veri ingredienti del tennis: collera, spavento, esaltazione, freddezza, sconforto, orgoglio. gli stessi che qualche mese prima mcphee aveva scoperto vivendo per quindici giorni a pochi centimetri di distanza dal prato su cui il tennis moderno e` nato, per ascoltare e poi ritrarre dal vero, nel secondo pezzo che compone questo libro, uno dei suoi personaggi piu` indimenticabili: robert twynam, giardiniere capo di wimbledon. |