i cittadini italiani sono azionisti di maggioranza, a loro insaputa, della rai, una delle piu` grandi televisioni pubbliche d`europa: 13 canali televisivi, 10 canali radio, 11 sedi all`estero, per un totale di 13.000 dipendenti. bene, nel corso degli anni, circa una settantina, questa proprieta` e` stata gestita senza cura, ha perso colpi sul mercato, non si e` rinnovata come i tempi avrebbero richiesto e oggi ha i conti in rosso. pero` gli italiani continuano a finanziarla. dunque il servizio pubblico e` pubblico nel senso che e` nostro, ne siamo proprietari. ma non solo. la rai resiste anche come una delle principali fonti di informazione del paese: in anni in cui sembra che ci siano solo internet, social e app, e` bene ricordare che il tg1 delle 20 ha oltre 5 milioni di spettatori. e facile quindi intuire come, per entrambe queste ragioni, la rai sia legata a doppio filo alla vita democratica del paese. carlo verdelli e` stato il primo direttore dell`informazione del servizio pubblico tra il 26 novembre 2015 e il 3 gennaio 2017. il progetto era ambizioso: un piano di riforma di 470 pagine suddivise in cinque volumi di analisi, confronti internazionali e proposte per "svecchiare la rai, disinfestarla dai parassiti della politica e proiettarla nel mondo di oggi". ma qualcosa non ha funzionato. quali sono gli interessi che hanno impedito un rinnovamento cosi` indispensabile e urgente? perche` e a chi conviene che le cose non cambino? verdelli ci guida nelle stanze e nei corridoi di viale mazzini, e spiega perche` riformare il servizio pubblico e sottrarlo alle sabbie mobili del potere romano e` impossibile. la rai mancata diventa cosi` "un tassello non marginale di un puzzle complesso. messo insieme ad altri pezzi, forma l`immagine di un tessuto svolazzante. sinistro, piu` che di sinistra". e il problema dell`informazione si conferma essere piu` che mai cruciale per la nostra democrazia. |